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dispuosi d aprirli il mio disio con vere parole e di sentire
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Giovanni Boccaccio - Comedia delle ninfe fiorentine
l ultimo fine del suo intendimento, disposta di spegnere
per forza i miei disii se lui a quelli pieghevole non tro-
vassi. Ma prima con altre parole volli tentare il dubbioso
ragionamento acciò che a quello meno tremante giun-
gnesse la lingua; e chiamatolo, sedendo con lui, così gli
dissi:
«Giovane, la tua età, l abito e la forma mi fanno vaga
di sapere che tu sii e donde e qual è il nome tuo: e però
piaciati di finire con vere parole i miei disii».
Allora egli mi riguardò così parlando:
«Ninfa, le tue parole mi danno non poca d ammira-
zione pensando che tu di me non abbi notizia, il quale in
Cipri, comune luogo a te e a me, sono conosciuto da tut-
ti; ma non per tanto la tua bellezza, se tu nol sai, merita
ch io il ti dica. E però sappi che l mio nome è Dioneo e
in me cosa non udita giammai udirai, cioè che io, fi-
gliuolo di due iddii, da loro fossi generato mortale, di
che non poco m ho a dolere; e se in loro, come ne mon-
dani potrei, potessi le mie ire vengiare, io il farei sanza
fallo».
Le cui voci, stendentisi in altre parole, rotte da me, il
domandai chi fossero gl iddii; a cui egli rispose:
«Chi fossero gl iddii e come m ingenerarono ti sarà
noto. Bacco, a tutto il mondo notissimo per le ricevute
vittorie in India, mi fu padre: questi, celebrantesi in Te-
be, amantissima terra la sua deità, i suoi sacrificii, venne
a templi suoi, e quivi, sonati i tamburi e i rauchi corni e
i tintinnanti bacini in segno de suoi triunfi, s adornò
dell usate corna; a quali Cerere, tirata dalli suoi draghi,
corse con le sue copie e aumentò in grandissima parte la
sante feste. Ella era bellissima, e l arte avea cresciuta la
sua bellezza e similmente la festa. Per la quale andante
ella intorniata di molte fanti, piacque agli occhi del pa-
dre mio, e con ardente disio cominciò a disiderare i suoi
abbracciamenti. Ma poi che i tumultuosi giuochi e i varii
diletti ebbero ampliati gli animi di tutti, e quelli della
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dea altressì, Bacco, veggentesi il tempo opportuno, pro-
cedero ne suoi disii, e con favorevoli braccia presa la
non renitente donna, e portatalane, è da credere che egli
avesse interi i suoi diletti; de quali io nacqui e, copioso
de loro beni, altro difetto non sento che quello che già
vi dissi».
Egli non diceva più, onde io incominciai:
«Giovane, la tua bellezza non merita morte, la quale,
se tu i miei piaceri vorrai seguire, levandolati, come i
tuoi parenti ti farò immortale. E non ti maravigliare del-
le mie parole, ché il poter mio si distende a maggiori fat-
ti che la mia lingua non può promettere. Tu se a me
lungamente piaciuto, di che se tu non se meno avvedu-
to che gli altri, tu il puoi avere conosciuto; e però, se il
già proferto dono da me disideri, disponti a miei piace-
ri. E certo questo non ti dee parere grave, anzi in singu-
lare grazia te l dei tenere, però che Elena non fu in
Isparten domandata da tanti nobili, né Atalanta, velocis-
sima nel suo corso, né qualunque altra famosa, quanto
sono stata io, la quale te solo tra mille giovani ho scelto
per solo signore della mia vaga mente».
Egli, udendo queste voci, posta giù l altiera maniera
de suoi costumi, umile disse:
«Seguirotti, e la voce tua comandi a me presto a ubi-
dire; e già gli occhi tuoi piacevoli nel mio cuore m han-
no legato con le tue parole a tuoi voleri».
Queste voci mi furono care molto; e in processo di
tempo, mostrandoli io come le viti, gli olmi e qualunque
albero, disposti i fiori una volta portati, intendendo solo
a frutti, erano contenti delle loro frondi, e come Danne,
sempre portante le verdi foglie, era tenuta bella, li feci i
varii ornamenti diporre e in una simiglianza i suoi vestiri
ridussi. E poi come ne fervori rifiutavano le piante esse-
re rigate dicendoli, e come ancora, acciò che annegate
non fossero le loro radici, con misura cercavano l onde,
tolsi via le cagioni de sonni suoi, e in salutifere vigilie ri-
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voltati, lui ad essere sollicito meco a miei giardini me-
nai. E nle mio stilo riduttolo sobrio e ordinato, ora di lui
vivo contenta; per che se questa dea favoreggiante con
sommo studio a miei voleri sollicita vegno e onoro di
sacrificio debito alla sua deità, niuno se ne dee maravi-
gliare.
E qui si tacque. E intra queste parole dette e la se-
guente canzone trapassò forse tanto di tempo quanto
dalla già imbiancata aurora penano l altezze delle mon-
tagne a mostrare i raggi d Apollo. E riposata, così co-
minciò:
[XXVII]
La graziosa e bella mia Pomena,
fuggente l acque frigide peligne,
da lor si scuda e dal pian che le mena;
e con gli effetti suoi lega e ristrigne
le furibonde corna di Lieo, 5
se forse oltre dovere in fuor le pigne,
lieta porgendo ciò che di Pelleo
la moglie regge alla sete vegnente,
sì ch appetito giusto non fa reo.
Dal costei viso ciascuna dolente 10
lonza che tira il carro di colui
presta si fugge e trista nella mente;
e simil fanno i serpenti da cui
tirato è quel di Cerere, la quale
umile vien, come piace ad altrui. 15
Quinci si fugge quella che del male
del padre nacque nell onde salate,
ristando sol nel toro geniale.
Minerva le sue fila, compilate
con artificio ad uso non villano 20
come le piace, le presta ordinate.
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Il modo abominevole e istrano
del viver simigliante a Palemone
di costei nel cospetto è nullo e vano.
Ristrigne e dà quanto vuolsi il sermone; 25
e l passo lungo e corto altrui disegna
secondo i tempi o movente cagione.
Le mprese furibonde vieta e sdegna,
disponendo a pensier gli atti futuri
dentro alle savie menti ov ella regna. 30
I pensati consigli dà maturi
agli occhi ben disposti, aperti e chiari,
e a contrarii, ruvidi e oscuri;
e ove spander vuolsi, non ha cari
i suoi tesor, ma con degna misura 35
li spande, aprendo gli avuti ripari.
E com io dissi, già alla cultura
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