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E questa è la seconda canna della sampogna, la secon-
da parola della musica di Cristo, parola non meno amo-
rosa che la prima. Il misero ladro on gli chiede ch una
semplice rimembranza futura, e ne riceve in dono la
beatitudine presente. O amore smisurato, smoderato,
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sovrabbondante, sovraeccedente! Mensuram bonam et
confertam et coagitatam et superreffluentem. Che diresti
Isaia, tu che già vedesti questo sommo Re di Gloria fra
gli Angioli in trono? Che ne diresti tu, Pietro, che lo ve-
desti pieno di luce e di maestà fra Elia e Mosè? Ahi
quanto vi parrebbe differente spettacolo rimirarlo ora in
croce fra due ladri scelerati, passionato e pendente! Ma
con licenza di Paolo che disse, non rapinam arbitratus
est, non senza cagione (e perdonami un tanto ardimen-
to, o Signore) dico io che ciò ti avviene. E se di propria
bocca tu stesso alla coorte parlando questo titolo volesti
darti: Tamquam ad latronem existis cum gladiis et fusti-
bus comprehendere me? perché non sarà a me lecito an-
cor di dire, che tu, come ladro, in mezo di due ladri sei
affisso meritamente? I miei primi padri rubbarono il po-
mo, principes infideles socii furum: ma tu sei ritrovato col
furto addosso: quae non rapui tunc exolvebam. Eva e
Adamo volsero rapire la somiglianza e la sapienza di
Dio: eritis sicut Dii scientes: ma tu ne sei condannato
dalla giustizia: cum peccatores essemus, Christus pro no-
bis mortuus est. O ladro santo, ladro caro! Era mia quel-
la croce, erano miei que chiodi e quelle spine: mio era
tutto il fascio di que flagelli che ti hanno così malcon-
cio. A me si dovevano il fiele, l aceto e la lancia. Mia fu
la colpa e mia esser doveva la pena. Ma tu per rubbarmi
ancora il cuore, volesti tutti questi tormenti rubbarmi.
Qual maraviglia dunque se tra ladroni conversi, e se
all un de due con detti così cortesi ti volgi? Hodie me-
cum eris in paradiso.
E certo chi con ladri consuma, non è gran fatto che
dell essercizio del rubbare prenda anch egli a dilettarsi.
Ecco un anima tolta sottilissimamente da Cristo fuor del-
le branche dell infernal ladrone. Ed ecco Orfeo che già
incomincia a tirar le fiere. Fiera selvaggia era questo ma-
landrino, avvezzo sempre ne boschi a depredare i pas-
saggieri: ed ora da questa musica non più udita si snete
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rapire, onde apprende anch egli a cantare, sciogliendo la
lingua non meno a riprendere l impazienza del compa-
gno ch a dimndare il regno al Signore. Parmi in veggen-
do colà sopra due tronchi di Croce il Ladrone e Cristo, e
in sentendo l uno e l altro parlare, di vedere e di sentire
appunto un paragone di due uccelletti canori, che, sopra
due arboscelli concertandosi, insieme contrappunteggi-
no a gara. Bella invenzione è quella che sogliono gli uc-
cellatori usare nelle caccie de volatili per tirargli al lac-
ciuolo o al visco: percioché su la cima d un asta uno le
legano e lo stringono in guisa ch e si dibatte e canta, al
cui canto gli altri, mentre ricantando concorrono, nella
pania o nella rete vicina s intricano. Simile in gran pare è
l artificio usato dal gran cacciatore del Cielo Numquid ca-
det avis in laqueo absque aucupe? Egli per far preda
dell anime penitenti si serve di questo gentilissimo richia-
mo, confitto su l palo della Croce, il quale, o con che
dolci e con che pietose note ha quivi incominciato a can-
tare! Raccogliesi da Virgilio, che quando gli uccelli can-
tano sette volte, è segno di futura serenità:
Tum liquidas chorus presso ter gutture voces
Et quater ingeminant.
Chiarissimo sereno alle nostre mortali tempeste puos-
si ben oggimai sperare del canto di questo divino uccel-
lo in cima a quell albero eccelso sette volte replicato. Si-
cut in sereno glacies, solventur peccata tua. Ed ecco un
uccellino, ch alle sue voci cantando e verseggiando spie-
ga l ali da lontane contrade e riman preso, vocans ab
Oriente avem et de terra longinqua virum voluntatis
meae. Onde s egli è vero ciò che il Savio dice: Avium
snus suavis, non deve certo d ascoltare i passaggi
dell uno e dell altro rincrescerci. Miro Cristo che in le-
gno secco languisce, dall eterno Verbo lasciato solingo
quanto al concorso, e lo rassomiglio ad una vedova Tor-
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torella, la qual quando ha perduto il consorte, non beve
mai in acqua chiara, né posa mai in ramo verde, ma stas-
sene in sfrondata pianta gemendo sconsolata e dolente:
vox turturis audita est in terra nostra. Miro il Ladrone vi-
cino al chiaro Sole della divina misericordia lasciare il
peccato, e l agguaglio ad una giovine Rondinella, la qua-
le come prima incominciano i raggi del bel Pianeta inte-
piditi a temperar l asprezza della stagione, dalle pirami-
di di Memfi si tragitta a soggiornare su i nostri tetti: sicut
pullus hirundinis sic clamabo. Che vaga e dolce emula-
zione è questa che passa tra questi due uccellini, or che
l Verno del peccato ha perduto il suo rigore, or che la
Primavera della salute fa spuntar fiori di grazie: hiems
transiit, imber abiit et recessit. Che bella tenzone, che
graziosa contesa fanno amendue a prova e nell offerire e
nel donare e nel chiedere e nel rispondere. Il Ladrone
offre quanto egli ha, dona quanto può: altro di suo in
tanta povertà non gli avanza, altro di libero in tanta
strettezza non gli resta, che cuore e lingua; ed ecco che
con l uno l ama ed adora, con l altra lo confessa e difen-
de; e se spiccar da chiodi potesse le mani, è pietà il
credere, ch armandole a danni de manigoldi, si sforze-
rebbe ancora di scrocifigerlo. Cristo con prodigalità in-
finita, mentre se ne sta con le polpe stracciate e tutto la-
cero dalle ferite, messi in non cale i propri dolori,
impiegato ogni suo pensiero in lui, per prezzo d una so-
la paroletta gli fa un ampio legato, una donazione reale
di quanto bene si può sperare dopo la morte: Memento
mei Domine cum veneris in regnum tuum. Hodie mecum
eris in Paradiso.
Più non si parli d Alessandro, né più tanto la sua libe-
ralità si commendi, perché a quel povero fante donasse
una città, dicendo che non si doveva riguardo avere alla
bassezza di chi riceveva il dono, ma alla grandezza di chi
donava: tanto nel donare inferiore a Cristo, quanto è
meno donare una città caduca, ch un regno eterno, e
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quanto è meno donar cose in non giusta guerra ad altrui
per forza usurpate, che ricchezze proprie, ereditarie,
con lunghi sudori acquistate e con legittima ragione pos-
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